Scritto il 2011-12-16 in News
Di Angela Lano. La Carovana “Primavera
delle Libertà” è arrivata nella Striscia di Gaza 21 novembre 2011,
entrando dal valico egiziano di Rafah. Si è trattato della più grande
delegazione parlamentare e politica internazionale per rompere l'assedio di
Gaza, allestita dalla European Campaign to end the siege on Gaza.
Della delegazione, composta da un centinaio di persone di 40
Paesi del mondo, hanno fatto parte 60 parlamentari e politici di America
Latina, Europa, Africa e Asia, leader della "Primavera araba", Ong,
attivisti umanitari. Dall’America Latina erano presenti 13 parlamentari, tra
deputati e senatori, candidati alle presidenziali di Cile e Uruguay,
rappresentanti del Mercosur e del Parlamento Andino.
Al valico palestinese di Rafah è stata organizzata una
conferenza stampa presieduta dal capo del Clp - Consiglio legislativo
palestinese -, Ahmad al-Bahar, cui hanno partecipato i portavoce delle
organizzazioni e delle diverse nazioni che compongono la "Carovana della
primavera delle libertà".
"Una visita storica", l’ha definita Ahmed
al-Bahr. Accogliendola all'arrivo, il presidente del Consiglio legislativo
(Clp) ha ringraziato tutti parlando appunto di "giornata storica"
segnata da individui venuti a Gaza da popoli liberi.
"Siamo convinti che con il vostro gesto si stia
segnando la vera fine dell'assedio israeliano su Gaza, questo complotto contro
il nostro popolo che altro non chiede se non vivere in dignità e libertà,
liberare al-Quds (Gerusalemme) e denunciare il furto israeliano con il processo
di ebraicizzazione".
"E' un convoglio che segna la liberazione della Palestina",
secondo il capo del Clp che, in quest'occasione, ha approfittato per rivolgere
un invito a visitare Gaza al segretario della Lega Araba, Nabil al-'Arabi e al
suo omologo per l'Organizzazione di Cooperazione Islamica (Oic), Ekmeleddin
İhsanoğlu.
Sultan: "Oggi veniamo per seminare la liberazione di
domani". Il capo della campagna egiziana di resistenza
all'ebraicizzazione di Gerusalemme è intervenuto così: "L'affamato non si
inginocchia. Da voi parte e a voi ritorna la primavera dei popoli arabi".
Salah Sultan ha citato alcuni dei piani di ebraicizzazione
di Israele con l'abbattimento di al-Mugharibah, ponte di collegamento tra la
porta al-Buraq e la moschea di Al-Aqsa.
'Arafat Madi, presidente di Ecesg, ha dichiarato:
"Abbiamo due messaggi, il più importante dei quali è l'espressione di
solidarietà dei presenti, provenienti da oltre 40 Paesi con un'alta presenza,
oltreché la prima del genere, di esponenti religiosi, tutti concordi sulla
giustezza della causa palestinese.
"Il secondo messaggio va ai voi palestinesi: "Non
siete soli nella lotta quotidiana per togliere l'assedio della tirannia. Presto
l'assedio sarà rotto".
Madi ha poi ringraziato la parte egiziana, per aver reso
possibile il passaggio senza impedimenti e ha promesso la continuazione di delegazioni.
Un ex ministro europeo ha affermato: "Ribadisco
il mio sentimento di gioia nel visitare ogni volta Gaza e prometto di portare
altri parlamentati dal mondo affinché attestino di persona l'ingiustizia alla
quale siete sottomessi. Non è lunga la distanza tra il momento in cui vi
riapproprierete della dignità di fronte all'ondata della primavera araba".
In rappresentanza dei sette Paesi dell'America Latina (Cile,
Perù, Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Ecuador), la deputata Cilena
Constanza Sabat, di origine palestinese, ha spiegato:"In 13 abbiamo
viaggiato a lungo per venirvi a trovare. Noi condanniamo e lavoreremo per
denunciare e abbattere l'assedio israeliano su Gaza. Combatteremo al vostro
fianco fino alla liberazione della Palestina".
Delegazione italiana. Dall’Italia era presente una
rappresentanza dell'associazione Abspp onlus - Associazione benefica di
solidarietà con il popolo palestinese -, guidata dall'arch. Mohammad Hannoun; i
politici del movimento Per il Bene Comune, Monia Benini e Fernando Rossi, il
direttore dell’agenzia stampa InfoPal, Angela Lano, e Fernando Lattarulo, che
ha accompagnato la delegazione sudamericana.
Il 22 novembre, presso il Centro
culturale della Municipalità della città di Gaza, “Rashad
Shawwa”, alla presenza di membri del Parlamento e del governo di
Gaza, si sono svolte lacerimonia di accoglienza della
delegazione e la conferenza stampa.
Erano presenti il primo ministro palestinese Isma'il
Haniyah, diversi ministri del governo e altre personalità locali. Ahmed
al-Bahar, a capo del Consiglio legislativo (Clp), è intervenuto per
ringraziare gli ospiti internazionali e per esprimere il riconoscimento per la
visita, definita "più che un gesto di solidarietà".
Embargo contro democrazia. Al-Bahar ha
denunciato l'assedio imposto da Israele con la complicità mondiale, quella del
Quartetto internazionale per la pace in Medio Oriente e degli Usa. "Una
punizione per le scelte democratiche fatte dal popolo palestinese.
"Oltre 600 sono i palestinesi a Gaza, donne, anziani e
bambini che si trovano in condizioni di salute critiche e che devono curarsi
all'estero. La chiusura dei valichi di frontiera e l'assenza di medicinali sono
parte del blocco e non sono effetti collaterali. Le vittime della guerra
israeliana su Gaza, i 1.500 palestinesi, in gran parte civili, sono una ferita
aperta per tutti".
Perseguire e punire i responsabili israeliani dei crimini
contro il popolo palestinese, e portarli davanti al tribunale internazionale è
quanto al-Bahar ha chiesto ai parlamentari e agli attivisti presenti.
Disprezzo per la dignità dei palestinesi. Dalla
Camera dei Lord, una parlamentare britannica, la baronessa Tonge, parte
della delegazione ha ammesso di provare tristezza oggi nel tornare a Gaza, dove
ha riscontrato uno stato tragico. "I diritti del popolo palestinese
vengono 'sottovalutati'.
"Non posso che essere testimone, una volta di ritorno
nel mio paese, con i miei colleghi in parlamento ai quali aprire gli occhi
sulle violazioni e sul disprezzo di Israele verso leggi internazionali e la IV
Convenzione di Ginevra. Eppure abbiamo costituito comitati e vari organi per
seguire il caso di Gaza. Tuttavia è sempre la linea di governo quella che ci
viene imposta.
I palestinesi pagano scelte democratiche e per esse vengono
massacrati. I popoli d'Europa e d'America hanno un'opinione contraria a quella
dei propri governi, le cui politiche verso Gaza sono considerate false e
faziose".
I parlamentari della delegazione: 'A Gaza, una situazione
drammatica". Un deputato del parlamento pakistano, Hajji Mohammed
'Adil, ha ringraziato i palestinesi di Gaza per l'accoglienza e si è detto
ferito per quanto ha visto, per il numero dei palestinesi resi disabili o che
hanno perso tutto nella guerra israeliana.
Come avevano fatto altri in conferenza stampa, anche 'Adil
ha portato la solidarietà del proprio popolo "impegnato nella preghiera
per Gaza, per la Palestina e Gerusalemme".
Il premier Haniyah ha definito la presenza della
delegazione internazionale e dei sudamericani, “un momento eccezionale per la
nostra lotta” e ha aggiunto: “Il popolo palestinese apprezza il vostro sforzo e
esprime grande apprezzamento.
“Israele sta vivendo una situazione di isolamento politico
internazionale e la vostra presenza qui lo dimostra. Ci sono tre aspetti
fondamentali che vanno affrontati a livello internazionale: il primo è
l’importanza di comprendere come la ‘Questione palestinese’ non sia solo
umanitaria ma anche politica. Noi vogliamo la liberazione dell’intera Palestina
storica, con diritto al Ritorno, Gerusalemme capitale. E’ questa la sola strada
per la soluzione del conflitto. Ciò include la liberazione dei 7000 prigionieri
ancora rinchiusi nelle carceri israeliane.
Shalit è a casa sua, allora perché l'assedio
continua? Così ha osservato Haniyah.
"Se Shalit è ora in mezzo ai propri cari, perché
continua l'assedio su Gaza?
“Il secondo è il blocco di Gaza, per il quale l’occupazione
sionista aveva usato come giustificazione la prigionia del soldato Gilad
Shalit, ma ora che è stato liberato, non c’è più alcuna scusa per continuare ad
assediare la Striscia.
“Un altro punto importante su cui fare pressioni è il
Rapporto Goldstone sui crimini israeliani commessi durante l’Operazione Piombo
Fuso. Deve essere ripreso in considerazione e i responsabili sionisti
processati per crimini di guerra. Non possono continuare a sfuggire alla
giustizia.
“Un quarto aspetto è la ricostruzione della Striscia: ancora
nessun materiale edile è autorizzato a entrare”.
Dichiarazione Universale di rifiuto dell'assedio dei
popoli.
Durante l’incontro è stata letta a Gaza la Dichiarazione
Universale di rifiuto dell'assedio di Gaza, una condanna netta della chiusura
della Striscia di Gaza che imprigiona un’intera popolazione, sotto gli occhi
del mondo intero.
Visita ai campi profughi. Sono 250mila i palestinesi
che vivono in quattro campi profughi della Striscia di Gaza centrale -
an-Nuseirat, Deir el-Balah, el-Bureij, el-Maghazi -, quelli che attraversiamo
la mattina del 22 novembre, soffermandoci a visitarne uno, quello di
an-Nuseirat. In tutto, i campi profughi sono 8 e ospitano in totale
492.500 persone (fonte: http://www.webgaza.net/background/Refugee_Camps/Gaza_Strip/).
Le condizioni di vita, in questi luoghi sovraffollati, sono
particolarmente difficili. Le abitazioni sono fatiscenti, le strade sgangherate
e l'igiene è uno degli aspetti più carenti.
Nel campo profughi di an-Nuseirat vivono
ammassati in case insalubri 62mila persone, molte delle quali sotto i sei anni
di età.
Sono i discendenti dei rifugiati del 1948, provenienti dalla
Palestina occupata dagli israeliani. La guerra contro Gaza dell'inverno
2008-2009, Operazione Piombo Fuso, ha pesantemente colpito quest'area,
distruggendo il ponte che collegava le due parti del campo. A ciò si aggiunge
la periodica esondazione di un piccolo fiume, provocata da Israele, che allaga
case, campi e strade, rendendole impraticabili. Un disastro ancora ben visibile,
e con gravi conseguenze sociali: il 75% della popolazione è disoccupata, perché
manca la possibilità di raggiungere agilmente altre zone della Striscia e di
trovare un lavoro.
La situazione del campo è piuttosto devastante. In una delle
case dove siamo entrati vivono 22 persone tra adulti e bambini, in condizioni
sanitarie estremamente precarie.
Il tour della delegazione prosegue poi lungo la principale
via di comunicazione - shari'ah Salah ed-Din - dalla zona centrale fino al
nord, e con la visita all'ospedale al-Aqsa, che garantisce 150 posti
letto su una popolazione locale di 250mila persone, e con carenze
medico-sanitarie evidenti, causate dall'embargo.
Prigionieri politici palestinesi. Un altro incontro
importante che coinvolge la delegazione internazionale, sempre il 22
novembre, è quello con il Centro per i Prigionieri di Gaza del ministero
dei Detenuti della Striscia.
La Conferenza è aperta da Ramy Abdu, della European
Campaign to end the siege on Gaza, organizzatrice della carovana
internazionale, e dalla deputata cilena Marcela Constanza Sabat Fernandez.
Sono presenti numerosi prigionieri – alcuni dei quali
liberati durante l’accordo di scambio con Israele (il soldato Gilad Shalit contro
1100 detenuti politici).
Raccontano la propria esperienza Abdel Aziz Amro e una
giovane mamma, Samar Sbeh.
Amro spiega che era stato condannato a 700 anni di
detenzione: entrato in carcere nel 2004, ha subito torture con sostanze
chimiche, e ora si trova in uno stato di salute precaria. “Qualunque
palestinese può essere imprigionato, e per qualsiasi motivo. Israele usa molto
la detenzione amministrativa (senza processo e capi di imputazione), che
rinnova di sei mesi in sei mesi, o di anno in anno. Ci sono molti prigionieri
malati, che non ricevono cure mediche. Non posso raccontarvi cosa si subisce in
carcere, per rispetto alle tante famiglie presenti in questa sala e che hanno
congiunti detenuti…, ma sappiate che si soffre molto”.
Sbeh era stata arrestata nello stesso anno, quando era
incinta di tre mesi, e ha partorito in carcere il suo bimbo, Bara', che ora ha
sette anni. Il piccolo è rimasto in prigione con la mamma fino all’età di due
anni e mezzo, poi è stato “liberato” e assegnato ai familiari. La condizione di
Samar e di suo figlio è condivisa da molte altre prigioniere, che sono
costrette a partorire in stato di prigionia e a far crescere i propri piccoli
dietro le sbarre, tra difficoltà, precarietà igienico-sanitaria e alimentare, e
in una situazione psicologica problematica. Non si tratta di criminali, ma di
detenute politiche, contro le quali Israele infierisce ledendo ogni diritto
umano.
Il giorno successivo, il 23 novembre, ha luogo
una visita al centro per disabili “Assalama. Charitable Society”, di Beit
Lahiya, nel nord della Striscia.
L'incontro è condotto da Mohammad Hannoun, dell’Associazione
dei Palestinesi in Italia, e responsabile per gli affari umanitari della
carovana, e dalla deputata brasiliana Marina Pignataro Sant’Anna.
‘Ala, un’operatrice, ci spiega che molti dei disabili,
presenti in sala, sono vittime delle guerre israeliane o di torture: sono
ragazzi in carrozzella, a cui mancano arti, oppure resi ciechi o sordi. “Uno
dei problemi è che Israele non permette loro di recarsi all’estero per le cure
mediche o per le protesi”.
Ospedali della Striscia: l’emergenza è
giornaliera. L’Ospedale “Martire Kamal ‘Udwan”, di Beit Lahiya,
è una struttura con 100 posti letto per 300mila persone: serve, infatti, anche
il campo di Jabaliya. Il turn-over di pazienti è continuo ed è ben visibile la
condizione di precarietà e deficienza sanitaria in cui è costretto a lavorare
il personale ospedaliero: mancano medicine, pezzi di ricambio per le
apparecchiature, le stanze sono fatiscenti, e le sale operatorie piccole e
carenti di tutto, o quasi; la luce viene interrotta per più di 8 ore al giorno.
Nelle sale operatorie manca l’autoclave.
Durante la guerra dell'inverno 2008-2009 l'ospedale soccorse
più di un terzo dei feriti.
Il porto di Gaza. Appena arrivati al piccolo porto di
Gaza non si può non notare il monumento alle vittime della nave Mavi Marmara, i
nove turchi uccisi durante l’assalto israeliano alla Freedom Flotilla1, nel
maggio dell'anno scorso.
Qui, incontriamo il presidente dell'associazione dei
pescatori di Gaza, il rappresentante del ministero dell’Agricoltura e della
Pesca e il presidente dell'autorità portuale.
“L’87% dei pescatori - ci spiegano – vive sotto la soglia
della povertà. Deve attenersi a un limite di tre miglia sui 20 previsti
dall'accordo di Oslo, quindi non può andare al largo e a riva ormai la fauna
ittica è scarsa. I bombardamenti sono quotidiani, i pescatori vengono
sequestrati e portati in Israele, le barche, e pure i motori, sono rubati pur
di impedire la pesca, fonte di sostentamento per 3500 famiglie”.
Sono sette i pescatori uccisi quest’anno e 30 quelli feriti:
tra questi c’è Ahmad, che alza il braccio e mostra la sua mano mozzata. Non
potrà più lavorare in mare.
Quella della pesca ormai è una categoria ad alto rischio e
poco ricercata. Quest’anno le perdite sono state di circa 5 milioni di euro, a
causa delle aggressioni israeliane. C’è molta miseria, tra i pescatori: i loro
figli non possono andare a scuola perché mancano i soldi. I ragazzini escono in
mare con i padri o i fratelli, oppure si adattano a lavori umili, nei mercati,
e mal pagati.
Una volta, il pesce di Gaza era esportato in diversi Paesi,
ora non basta a sostentare neanche le famiglie dei pescatori.
La visita successiva è alla “al Jazeera Football Children
School”, dove la delegazione incontra giovani sportivi disabili, che
lottano con tenacia per condurre una vita sociale e sportiva normale,
nonostante gli handicap e le limitazioni.
Il ministro degli Esteri di Gaza. E’ un
sorridente Mahmoud az-Zahaar quello che, alla sera, accoglie nel proprio
ufficio la delegazione sudamericana e italiana. E’ contento della presenza di
tanti parlamentari dell’America Latina – deputati e senatori, rappresentanti
del Mercosul e del Parlamento Andino, e pure candidati alle prossime
presidenziali.
Mentre l’Europa, a livello ufficiale, boicotta il governo di
Gaza, i politici sudamericani vi si recano in visita, discutono, raccontano, e
si fanno pure fotografare accanto a ministri, deputati e premier. Una cosa
incredibile, per i parametri occidentali, ma del tutto normale per un’area del
mondo che negli ultimi anni si è liberata da dittature, regimi, oppressori
locali manovrati dagli Usa. E che può addirittura annoverare Presidenti ex
guerriglieri…
“Per l’America Latina è normale avere al potere partiti e
politici che hanno fatto parte della resistenza e della guerriglia di
liberazione”, spiega a un esterrefatto, ma contento, az-Zahaar una parlamentare
sudamericana. Per loro, il movimento di resistenza islamica, Hamas, è, appunto,
un movimento di resistenza popolare contro il regime che assedia, occupa e
opprime. “Anche i nostri movimenti di liberazione venivano chiamati
‘terroristi’ dai dittatori – aggiungono altri parlamentari -, ma ora sono al
governo o hanno loro rappresentanti”.
“L’islam non è il vostro nemico, o il nemico dell’Occidente
– dice loro il ministro di Gaza -. La nostra lotta è contro il sionismo, che ha
occupato la nostra terra”.
La giornata del 24 novembre si apre
con la visita alla “Gaza Artificial limbs and Polio center”, un centro
che fornisce le protesi artificiali alle persone che hanno perso gli arti.
Nell’ultima offensiva israeliana contro Gaza sono state
ferite circa 5000 persone, molte delle quali rese disabili permanenti.
L’appuntamento successivo è con il parlamentare del
Consiglio nazionale palestinese Mushir al-Masri, che incontra i colleghi
latino-americani, molto contenti della sua presenza, in quanto una delle figure
politiche più di spicco della Striscia di Gaza.
Al-Masri si dice molto interessato ad avviare relazioni
politiche con i parlamentari dell’America Latina.
Il deputato, poi, concede un’intervista al direttore di
InfoPal, che riportiamo qui di seguito.
Deputato, come valuta la presenza della delegazione
internazionale che in questi giorni ha incontrato sia la società civile sia le
realtà politiche ufficiali di Gaza?
E’ una visita storica: la prima di questo tipo, a livello di
qualità e quantità di persone. Si tratta di un passo nella giusta direzione nel
sostegno alla Palestina. Essa rappresenta una dichiarazione internazionale
contro l’assedio. Particolarmente importante è la presenza dei parlamentari
sudamericani: essi hanno affrontato un lungo viaggio per esprimere solidarietà
umana e politica. Ciò significa che Israele è in declino, e che continua a
crescere il sostegno al popolo palestinese.
Qual è il ruolo che l’America Latina, in pieno sviluppo
economico e con un peso politico sempre più grande, può avere per la Palestina?
Noi crediamo che l’America Latina è, sì, la più lontana come
distanza, ma è la più vicina a noi, e che può fare lobby per la Palestina e per
la causa, e condannare l’occupazione sionista.
Il popolo latinoamericano ha sofferto come noi l’oppressione
e l’occupazione degli Usa. Per questo ci troviamo ora a collaborare con loro,
avendo subito gli stessi problemi.
In comune abbiamo tante cose. Inoltre, non dimentichiamoci
del ruolo positivo che questi paesi hanno nel sostegno alla causa palestinese:
essi sono certamente contrari all’occupazione, e sono più vicini a noi di certe
nazioni arabe.
Con l’America Latina non vogliamo fare solo pubbliche
relazioni, ma vogliamo collaborare, cooperare. Come esiste un’alleanza
statunitense pro-terrorismo israeliano, ci aspettiamo che l’America Latina ne
guidi una pro-Palestina. Avranno 57 stati arabi e islamici loro alleati.
Gli obiettivi sono di porre fine all’assedio israeliano,
formare un blocco contro l’occupazione israeliana e condannarne le aggressioni.
Cosa vi aspettate dai recenti accordi di riconciliazione
nazionale palestinese siglati al Cairo?
Parliamo di speranza, di augurio. Noi siamo realmente a
favore di questa riconciliazione nazionale. Siamo pronti all’unità, partendo da
un punto di forza, perché tutti gli altri tentativi di far partire la
riconciliazione sono falliti. Noi chiediamo a Fatah di andare insieme verso il
processo di unità che difenda i diritti inalienabili palestinesi. Fatah sarà
libera di allontanarsi dall’agenda degli Usa e di Israele?
Abbiamo dimostrato un’esperienza di democrazia e di diritti
umani, rispetto a quella fallimentare in Cisgiordania. Vogliamo rappresentare
una realtà democratica e pacifica nazionale.
Cosa pensa delle manifestazioni popolari in piazza
Tahrir, al Cairo, contro la fine del regime militare? Quali potrebbero essere i
risvolti per la Striscia di Gaza?
L’Egitto sta meglio senza Mubarak, certamente. Tuttavia, la
questione della chiusura del valico di Rafah non è stata ancora risolta. Noi
non abbiamo fretta, aspettiamo i risultati delle elezioni parlamentari e di
vedere se l’Egitto tornerà leader della piazza araba.
Abbiamo assistito con dolore ai fatti cruenti in piazza
Tahrir. Speriamo nel ritorno dell’Egitto come leader e sostenitore del popolo
palestinese.
Sono mesi che è in corso il processo agli assassini di
Vittorio Arrigoni, ma le udienze vengono rinviate continuamente. Una parte
degli attivisti italiani vi accusa di voler insabbiare il caso. Cosa risponde?
Vittorio era una persona amatissima nella Striscia di Gaza,
sia dalla popolazione sia dal governo.
La sua uccisione ci ha spaventati tutti, ha sconvolto
Gaza. Aver scoperto subito i criminali ha rappresentato un successo. Il
governo ha messo in campo tutte le forze a disposizione.
Alcuni degli assassini avevano fatto parte delle brigate
Qassam, l’ala militare di Hamas…
Non ci sono rapporti ufficiali e recenti con Hamas. Erano
appartenenze passate.
Il capo del commando era giordano: nulla aveva a che fare né
con Hamas né con la popolazione di Gaza. Rispettiamo il lavoro della
magistratura palestinese: il governo non interviene in alcun processo.
Verrà raggiunta una decisione finale prossimamente. Ciò che spetterà agli
assassini di Vittorio sarà la pena capitale.
Noi siamo fieri che la Striscia di Gaza rappresenti un’oasi
di libertà: chi vuole macchiare la nostra immagine con simili delitti avrà ciò
che merita.
Com’è mai possibile che Hamas e il governo che esso guida
pugnali se stesso uccidendo un uomo che è vissuto con noi, ha lottato con noi,
e che aveva scritto sul proprio braccio la parola “resistenza”? Chi l’ha
ucciso, colpendo lui ha voluto macchiare l’immagine di Hamas e del governo
della Striscia di Gaza.
La tre-giorni a Gaza della delegazione si chiude con il
ricevimento, nella mattina del 24 novembre, nella sede del
Consiglio dei ministri dell'Anp.
Il premier Ismail Haniyah esprime “ammirazione per lo sforzo
sostenuto dai rappresentanti dei sette Paesi latino-americani nell’affrontare
un lungo viaggio per arrivare nella Striscia”.
Haniyah ha ricordato che in quella regione del mondo
trovarono rifugio molti palestinesi profughi del 1948. E ha aggiunto: “Sono 63
anni che milioni di palestinesi, e i loro discendenti, vivono fuori della
Palestina.
“Da 63 anni viviamo sotto occupazione e tortura. Gli
israeliani, da allora, hanno ci hanno mosso guerre, hanno costruito il Muro
dell’Apartheid, hanno assediato il presidente Yasser Arafat al palazzo della
Muqata’a, e lo hanno avvelenato, stanno ebraicizzando Gerusalemme, hanno
imposto un blocco illegale alla Striscia di Gaza, hanno imprigionato migliaia
di palestinesi, e nell’inverno del 2008-2009 hanno scatenato una guerra contro
Gaza che ha provocato morti, feriti e distruzione.
“La verità è dunque questa: Israele non vuole la pace ed è
sempre alla ricerca dei conflitti. Tuttavia, la visita di questa grande delegazione
internazionale è la dimostrazione concreta che il tempo sta volgendo a nostro
favore e contro le politiche israeliane.
“Il movimento di Hamas lotta contro l’occupazione. Ogni
Paese occupato ha il diritto di liberarsi e combattere per la propria liberazione.
Ciò è stabilito anche dalle convenzioni internazionali e dal Consiglio di
Sicurezza dell’Onu”.
Il primo ministro ha poi sottolineato che il problema è tra
occupanti e occupati: è con Israele, non con gli ebrei: “Noi non abbiamo nulla
contro gli ebrei, ma con chi ha occupato la nostra terra. In questi anni
abbiamo ricevuto molti ebrei anti-sionisti, giunti qui per dare solidarietà e
sostegno al popolo palestinese. Essi sono i benvenuti.
“Hamas crede nella democrazia e nelle libere elezioni: in
quelle del 2006 ottenne la fiducia del popolo palestinese. I governi
occidentali avevano chiesto al movimento islamico di ‘rispettare la
democrazia’, ma quando questo ha vinto, sono stati loro a non rispettare
l’esito elettorale. Ci hanno imposto un blocco totale come punizione
collettiva. In nessuna altra parte del mondo c’è un assedio dal mare, dal cielo
e dalla terra. Ci hanno anche scatenato una guerra, per castigare la
popolazione. Come castigano tutti i Paesi che intrattengono relazioni con noi”.
Il viaggio della “Carovana della Primavera delle libertà”
termina il 24; ma una piccola delegazione rimane anche il 25 e il 26.
Incontri con associazioni umanitarie. Racconta
Hannoun, coordinatore generale del settore umanitario della delegazione: “I
nostri obiettivi sono la denuncia dell'illegale assedio israeliano a 1,6
milioni di palestinesi residenti nella Striscia e una dichiarazione congiunta
di condanna che verràdepositata alle Nazione Unite.
“Tra il 25 e il 26 novembre abbiamo incontrato
rappresentanti di 150 realtà umanitarie a Gaza, nella sede dell’associazione
al-Mabarra, un orfanatrofio che ospita oltre 4000 bambini nelle sue varie sedi
della Striscia. Bambini abbandonati o rimasti senza genitori.
“Abbiamo parlato di coordinare tra tutte le associazioni di
Gaza ed europee, un migliore servizio, e garantire una giusta distribuzione dei
nostri aiuti che arrivano dall’Europa. Abbiamo proposto di creare dei
micro-progetti che offrano posti di lavoro.
“Abbiamo portato anche solidarietà concreta: in una
sala abbiamo organizzato una festa per oltre 2000 orfani, con balli e canti, e
abbiamo distribuito regali per i ragazzini. Inoltre, abbiamo donato 5000 pacchi
contenenti generi di prima necessità nei vari campi profughi e latte per
neonati all’ospedale Mohammed ad-Durra, a Gaza City.
“A Rafah abbiamo trovato una struttura su 100 ettari di
terra, per ospitare disabili – scuola e centro di riabilitazione -, che costerà
1 milione di euro. Sarà il progetto del 2012 delle associazioni
benefiche europee per il sostegno alla Palestina, di cui la Abspp fa
parte".
"Lo scopo finale del nostro viaggio - ha sottolineato
Hannoun – è stato quello di verificare direttamente come e dove sono spesi i
soldi raccolti in Europa e destinati a Gaza".
Conclusioni.
Ricostruzione. Nei giorni di visita della delegazione internazionale alla
Striscia di Gaza, notiamo che tutta la regione è in pieno fermento:
molti edifici bombardati durante l’operazione israeliana “Piombo Fuso” sono
stati ricostruiti, e altri nuovi sono venuti alla luce, tra cui centri
commerciali e negozi. Anche i ministeri e il parlamento, colpiti due anni fa
dalla furia criminale di Israele, sono di nuovo in piedi. La ricostruzione è
avvenuta attraverso il recupero dei materiali di risulta, che sono stati
triturati e mescolati alla sabbia. Per mesi e mesi, operai edili di Gaza hanno
percorso tutta la Striscia per recuperare le macerie dei tanti edifici
distrutti, diventando spesso nuovo bersaglio per cecchini israeliani appostati
dentro il territorio palestinese, lungo i confini della Linea Verde.
Negli ultimi tempi, a questa tecnica di raccolta della
“sopravvivenza” s'è aggiunta la presenza di cemento e ferro che arriva dai
tunnel che collegano l'Egitto con la Striscia. Anch’essi detti, per ovvie
ragioni, “della sopravvivenza” e dentro ai quali trovano la morte ogni
settimana diversi lavorativi, sepolti da crolli o bombardamenti israeliani.
La ripresa delle attività economiche ed edili è ben
visibile, e dimostra che la popolazione palestinese vuole condurre un'esistenza
"normale", nonostante le aggressioni israeliane e la distruzione che
spesso si abbatte in questa parte della Palestina storica.
Ci sono aree della Striscia ormai completamente ricostruite,
in particolare a Gaza City, e con una vita sociale e commerciale piuttosto
attiva, ed altre, specialmente i campi profughi, depresse, quando non del tutto
misere.
La situazione nella Striscia è molto diversa da quella che
ci trovammo di fronte due anni fa, nel gennaio del 2009, a
pochi giorni dalla guerra israeliana: attraverso le centinaia di gallerie
costruite al confine con l’Egitto entrano i prodotti alimentari,
l'abbigliamento, le auto (carissime, anche quelle usate!), giocattoli e molte
altre mercanzie. I negozi sono pieni di merci, così l’antico suq di Gaza, e
pure i nuovi e moderni supermercati in stile arabo-occidentale. Dunque, non c'è
emergenza umanitaria, ma c'è una disoccupazione a un livello altissimo, che
rende difficile gli acquisti anche di beni di prima necessità. La maggior parte
dei gazawi ha pochi soldi. Addirittura ci sono aree come quelle del campo di
an-Nuseirat, duramente colpite da Piombo Fuso, e sempre nel mirino israeliano,
che sono semi-isolate, perché i ponti sono stati distrutti e pure altre
infrastrutture, difficili da ricostruire per mancanza di ferro e acciaio.
Assedio. La vera emergenza umanitaria, ora, nella
Striscia, è quella sanitaria e lavorativa: negli ospedali mancano le forniture
medico-sanitarie, le medicine, i pezzi di ricambio per i macchinari.
Israele assedia, chiude, aggredisce costantemente la
Striscia, ne fa a pezzi le case e le infrastrutture, i campi e le barche dei
pescatori, impedisce la libera circolazione delle persone e delle merci. Spara
contro i lavoratori, li affama togliendo loro la possibilità di avere una vita
normale e dignitosa.
A Gaza, adesso, non mancano le cose, mancano i soldi per
comprarle, e a troppe persone. Giovani e vecchi, diplomati, laureati e incolti,
pochi riescono a trovare un lavoro. E’ fortunato chi può vivere con le rimesse
dei parenti all’estero. Particolarmente colpite sono le categorie dei
pescatori, degli agricoltori (soprattutto quelli al confine con i Territori del
1948, che Israele attacca quotidianamente), degli operai delle aziende e
industrie distrutte durante Piombo Fuso.
L'assedio alla Striscia va tolto perché illegale e disumano.
La gente della Striscia deve potersi spostare, trovare lavoro, guadagnare,
studiare, curarsi. Deve vivere una vita dignitosa. Questo è il monito
della delegazione internazionale per Gaza.